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TAPPA OTTANTASETTE E OTTO  Ostia – Fregene – Campo di Mare

Scivolo. La piccozza entra nello strato di ghiaccio decisa. Il rampone fa presa. Mi trovo sdraiato nella neve.
Non so dove sono i miei compagni, sono da solo, sdraiato nella neve.

Non avevo mai avuto un dubbio riguardo questa scalata. Doveva essere facile. Una passeggiata direi.
Salita. Prima su un sentiero e poi su un ghiacciaio per guadagnare la cima di un vulcano attivo nel mezzo delle Ande.
Non sono stanco. So di non essere stanco, è una cosa già provata. Conosco questo momento.

Mi siedo, puntando i ramponi, e faccio quello che non va fatto.
Frugo nello zaino, tolgo i guanti, prendo un filtro, cartina e tabacchi e giro una sigaretta. Tolgo la maschera antigas e un lievissimo odore di zolfo mi informa che no, la cima non è lontana.

Accendo la mia sigaretta e penso.
Mi chiedo il perché ogni volta che mi avvicino al mio obiettivo la mente molla.
Sto bene, non ho fame e so di non essere stanco. Eppure è già la terza volta che cado.
Perché ogni volta che manca poco al traguardo ci viene da mollare?
Altre volte mi è capitato. In montagna, ma non solo.
Ogni volta che vedo il traguardo mi rilasso.

Niente sprint finale per me.
La sigaretta è finita. Mi godo la vista. Le nuvole sotto di me e altri picchi spuntano coperti di neve. Azzurro e bianco a perdita d’occhio.

La, da qualche parte sotto alle nubi ci sono i miei amici. Probabilmente davanti a una birra che si lamentano della pioggia.
E io sono qui.

Una sola cosa resta da fare. Trovare un motivo. Riuscire a dare alla mente un motivo per continuare, per andare avanti.
La sottile linea che divide i due mondi del successo o del fallimento, è tutta lì, nella mia testa.

Tenacia. Motivazione. Una ragione per arrivare. Mi serve solo questo.

Infilo tutto nello zaino con noncuranza, rimetto guanti e maschera e mi alzo. La cima, il cratere saranno miei. Non posso ripensarci ora.
Ritrovo tutte le mie energie e tutta la mia voglia, con l’impressione che fossero state nascoste senza troppo impegno in un angolo della mia mente.
Mi sento invincibile, e così mi continuerò a sentire fino alla prossima caduta
Fino al prossimo dubbio.

Torniamo ai nostri amici.
Più di tre mesi in mare, lunghissimi chilometri di costa alle spalle e la metà che si avvicina.
Genova è lì. La si può quasi vedere. Non con gli occhi, ovviamente, ma fidatevi che è tanto vicina da poterla toccare.
Basta chiudere gli occhi ed è lì. L’odore del porto, il sapore della focaccia mangiata camminando lentamente per i vicoli. La lanterna.
È tutto così dannatamente vicino.

E qui scopro i due opposti atteggiamenti dei nostri marinai.
Se Lorenzo trova slancio e vigore ogni chilometro che passa, Giulio paga un po’ di più la situazione.
Si definisce stanco, dice che il corpo lo ha mollato.
Come sempre io ho la mia teoria.
Esattamente come me seduto nella neve, anche lui si trova a dover superare una linea immaginaria nella sua testa.

È forse la parte più difficile. È la parte in cui sei solo, in cui nessuno può aiutarti. È la parte della sfida in cui devi dimostrarti più forte di te stesso.

E io, nel mio piccolo, non posso fare nulla più che rassicurarvi.
Nulla più che puntare i miei pochi risparmi sul successo di questa impresa.
Perché come io sono riuscito a raggiungere la cima del mio vulcano, scommetto che anche i ragazzi riusciranno a raggiungere il loro obiettivo.
Cadranno altre mille volte, si rialzeranno mille e una. Su questo scommetto.

Già li vedo sorridere e ricordare di questi momenti quando attraccheranno per l’ultima volta.

Perché la tenacia non gli manca, ma soprattutto perché l’unica cosa capace di fugare ogni dubbio sul tuo valore, è la possibilità di vedere dalla cima il lungo cammino percorso e chiedersi, con un sorriso, perché siamo stati tanto stupidi da dubitare di noi.

A presto
Il camperista

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